Questa non è la fine di una storia, basta attraversare una delle sue tante porte per finirci dentro

Facebook
Twitter
LinkedIn

Lunedì 7 novembre, partenza da Milano MXP direzione Brussels Zaventem in compagnia della mia compagna di viaggio Enrica. Nei giorni successivi tutti chiederanno da quanto tempo ci conosciamo visto il nostro feeling, solo da qualche ora, dalle 17 circa.

Ore 21 arrivo nella fredda Brussels, dopo un continuo andirivieni dal tapis 3 al lost & found, realizzo, ahimè, di esser giunta a Brussels senza la mia valigia, rimasta in Italia.

Non c’è tempo per demoralizzarsi, si parte per Brussels centro alla volta dell’Ibis Hotel presso la Gare du Midi; è quasi mezzanotte quando un receptionist molto carinamente ci consegna le tessere/chiavi; io sarei stata in camera con Teresa e Enrica con Patrizia.

Silenziosamente entro in camera per evitare di svegliare la collega, di cui conoscevo solo il nome, e con voce bassa le dico “Teresa, sono Virginia, sono arrivata…”, peccato che da sotto le coperte si leva una voce che risponde “Virginia, non sono Teresa…sono Patrizia!”. Ecco, avranno sbagliato tessera, invito Enrica ad entrare nella sua stanza e prendo la tessera che sicuramente per sbaglio le hanno consegnato al posto mio.

Provo quindi a strisciare la tessera della camera accanto, si accende una luce rossa, non contenta, ci riprovo una volta, due, tre, fino a quando ad aprire la porta è un uomo di mezza età in biancheria intima che con un bell’accento francese mi dice “Je suis frappé!”…Colta di sorpresa provo a spiegargli quanto avvenuto in inglese e rendendomi conto che il signor frappé non mi comprende provo uno switch al francese con le poche reminiscenze della scuola media; niente da fare, il signor frappé in intimo mi guarda sempre più sbalordito fin quando simulo il gesto di chiusura della porta e mi fiondo dal receptionist che carinamente come mi aveva accolta si scusa per l’accaduto e mi consegna la tessera della camera corretta.

Non c’è tempo e motivo per demoralizzarsi, è passata la mezzanotte quando esco a comprare l’occorrente per il giorno successivo (spazzolino, …) non avendo con me la mia valigia, rientro finalmente in camera dove mi attende Teresa, la mia compagna di stanza. Nei giorni successivi tutti chiederanno da quanto tempo ci conosciamo visto il nostro feeling, solo da qualche ora, da mezzanotte circa.

Questa simpatica parentesi è esempio di come ogni storia presenti delle porte che affacciano su altre storie e che non sempre riusciamo ad attraversare (come quella della stanza del signor frappè  🙂).

Dal giorno successivo, entro nel vivo di Brussels, in un modo del tutto nuovo e particolare. Entro a Brussels attraverso una porta che dà sul retro, percorrendo uno di quei quartieri che nessun turista visiterebbe. Anderlecht, quartiere ad alta densità di immigrati, presenta sin dalle luci dell’alba un forte degrado e tanta sporcizia; è proprio nel cuore di questo quartiere che sorge Maks, ente no profit che investe sulle persone, che ha investito anche su di me, su di noi, come changemakers. Maks offre corsi gratuiti per persone svantaggiate mirati allo sviluppo delle competenze digitali intese come volano di inclusione sociale. Lo storytelling digitale rappresenta una delle metodologie utilizzate in tal senso, in quanto strumento di inclusione.

Ad accoglierci è stato il nostro Petar. Petar è stato più di un trainer, più di un facilitatore, con la sua delicatezza, sensibilità e passione per il lavoro ha creato un ambiente sicuro in cui ognuno è riuscito a scoprire la propria identità.

Petar ci ha contagiati con il suo entusiasmo per il Digital Storytelling. Fare Digital Storytelling vuol dire rompere la paura di dire ciò che si sente, rompere la paura del digitale.

Abbiamo sperimentato ogni giorno attività e setting diversi…Il mio setting preferito? Il cerchio, simbolo e motivo di inclusione.

Il corso di formazione, sperimentazione e lavoro si è svolto in un’atmosfera di lifelong kindergarten, utile per sprigionare la propria creatività. Elemento fondamentale di questa metodologia? La voce “in the voice there’s more than a sound”. Quante scoperte, quanti consigli e quanta ispirazione!

Lavorare con questa metodologia didattica aiuta a -e richiede di- essere necessariamente flessibili, ci si incontra e scontra con diversi punti di vista; il DST aiuta a dare importanza al processo piuttosto che al risultato; è una metodologia molto diretta, legata all’esperienza.

Topic scelto da Petar per noi e per la nostra storia è stato “Where do I come from?”, le nostre storie ci hanno guidato in tutte le attività proposte, che ci hanno coinvolto e che tutti non vediamo l’ora di riproporre ai nostri colleghi e con i nostri studenti.

Giorno dopo giorno si è creato un vero e proprio Gruppo e non solo di lavoro…Dopo le attività formative abbiamo condiviso la visita della città e dei dintorni, la Grand Place, i fumetti che costellano la città, il museo Magritte, l’Atomium, il Parlamento europeo, il Manneken Pis, Grand Sablon…Abbiamo deliziato il nostro palato assaggiando piatti tipici della cucina belga, etiope, siriana, libanese…Nei giorni successivi tutti chiederanno da quanto tempo ci conosciamo visto il nostro feeling, solo da qualche giorno.

Momento più emozionante dell’esperienza di mobilità è stato per me aver conosciuto uno dei simboli dell’Accoglienza a Brussels, l’italiana Loredana Margi.

Loredana ha dedicato la sua vita all’Accoglienza, investendoci e credendoci, lo ha fatto in uno dei quartieri più difficili di Brussels, Molenbeek. A Lei presto verrà dedicato un ponte.  Loredana ci ha fatto percorrere questo ponte, ci ha portati nella sua Storia, nella Storia delle migrazioni, nella Storia di Brussels, città multiculturale dove più di 184 culture diverse vivono insieme e pacificamente.